Hiroshige: come nasce un capolavoro

Categoria: Gli articoli di P.B.

Se non l'avete già fatto leggete il resoconto della mostra Hiroshige, il maestro della natura scritto da Manuela. Capirete meglio quello che sto per scrivere.

Ho avuto la fortuna di poter visitare dopo la mostra di Hiroshige a Roma anche il Museo van Gogh di Amsterdam, e pochi giorni dopo di poter ritornare a Roma per una seconda visita al Museo del Corso. In occasione di questa ultima visita, con la gentile collaborazione della Fondazione Roma che gestisce il Museo, che ha autorizzato la ripresa delle immagini non provenienti dal catalogo, sono stati preparati gli articoli che state leggendo.

Devo dire che è stata una esperienza unica ed emozionante: lo studio su testi e fonti convenzionali non può sostituire l'osservazione diretta dei capolavori, ed il confronto tra opere depositate in località molto distanti, ad Amsterdam come abbiamo detto le opere di Van Gogh e presso l'Honolulu Academy le stampe esposte a Roma, raramente è possibile a così breve distanza di tempo, quando ancora la memoria ha vividi ricordi di quanto impresso nella retina.

 

Va detto subito che l'interesse di Vincent van Gogh verso l'arte giapponese non è stato casuale né episodico. Il grande artista fiammingo era come noto praticamente autodidatta e restìo ad accettare le regole dell'apprendimento e benché nato in una famiglia ricca di artisti rivelò tardi la sua vocazione. Quindi accolse con entusiasmo la possibilità di attingere ispirazione da una scuola che privilegiava l'osservazione attenta della natura e la composizione istintiva alle lunghe sedute in studio.

Fu facilitato dall'avere vicino il fratello Theo, che esercitava il mestiere familiare di mercante d'arte che lo stesso Vincent aveva iniziato con profitto in gioventù.

Theo era non solo venditore ma anche estimatore e collezionista di stampe giapponesi e trasmise questa passione al fratello, che sullo sfondo di numerose opere dipinte ad Anversa collocò delle stampe della sua collezione. Durante il loro cosidetto "periodo parigino" - 1886-1888 - Vincent e Theo van Gogh organizzarono la prima esposizione in assoluto di opere ukiyo-e, presso il locale Le Tambourin di proprietà di Agata Segatori.

In seguito, una delle motivazioni che spinsero Vincent van Gogh a trasferirsi ad Arles fu proprio la ricerca del "colore del Giappone", che in quella località gli sembrava possibile ritrovare. Purtroppo il male che lo corrodeva dall'interno non lasciò a van Gogh il tempo di esprimersi appieno. Nel 1890 poneva termine ai suoi giorni, all'età di 37 anni, mentre Theo si spegneva sei mesi più tardi di malattia.

La vedova di Theo van Gogh, Johanna, dedicò gran parte della sua vita al recupero ed alla valorizzazione delle opere del cognato, ed il nucleo della collezione del Museo van Gogh di Amsterdam è formato dalla sua donazione. Sono lì esposte quasi tutte le opere che hanno tratto ispirazione dalle stampe giapponesi. Non solamente da Hiroshige, ricordiamo La Cortigiana da Eisen, e non solamente copie ma anche temi originali trattati "alla giapponese" come Il seminatore (Arles, novembre 1888), Il pesco rosa (Arles, aprile 1888) o Barche da pesca a Les Saintes Maries de la mer (Arles, giugno 1888).

 

Vincent van Gogh:
Albero di susino in fiore (da Hiroshige)
Parigi, estate 1887, olio su tela
55 x 46 cm
V. v. Gogh Foundation Collection, # S115

 

Non c'è bisogno di sottolineare che in questa opera van Gogh riprende un capolavoro di Hiroshige che abbiamo ormai imparato a conoscere bene: il Giardino dei susini di Kameido.

La versione di van Gogh presenta ovviamente caratteristiche differenti motivate dalla tecnica ad olio utilizzata. Nelle pagine seguenti potrete conoscere in dettaglio la tecnica dell'ukiyo-e ed in particolare proprio i passaggi necessari per produrre una copia di questa stampa.

 

 

 

 

 

 

Vincent van Gogh:
Il ponte sotto la pioggia (da Hiroshige)
Parigi, estate 1887, olio su tela
73 x 54 cm
V. v. Gogh Foundation Collection, # S114

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hiroshige:
Ohashi. Acquazzone ad Atake
Serie: Cento vedute di luoghi celebri di Edo
1857, nono mese
360 x 237 mm
HAA 06445

 

 

 

 

 

 

 


 

La tecnica di Hiroshige

La silografia, che si pensa sia nato proprio in Giappone intorno all'VIII secolo per arrivare in Europa solamente nel XIV, è la tecnica di trasposizione di un disegno a rilievo sopra una matrice in legno, che verrà poi inchiostrata permettendo la riproduzione dell'opera in alcune centinaia di esemplari, prima che il deteriorarsi della matrice la renda inservibile.

La tecnica prese vie diverse nelle diverse culture. In occidente per permettere tiraggi maggiori si passò prima all'utilizzo di matrici in legno più duro, di difficile lavorazione ma più resistenti, e poi all'utilizzo di matrici in metallo su cui il disegno veniva riportato non scalpellando a mano ma incidendo mediante acidi.

In Giappone il maestro Moronobu iniziò nel XVII secolo ad Edo la rappresentazione di quei soggetti che venivano definiti in ambito religioso ukiyo-e (憂き世 immagini del mondo della sofferenza) ossia situazioni tipiche di chi non ha facoltà di liberarsi dalle proprie passioni. Successivamente venne orgogliosamente rivendicata quella che sembrava una menomazione ed il termine ukiyo-e (浮世絵 immagini del mondo fluttuante) che utilizza differenti kanji fu quello che passò alla storia. Fu più tardi il maestro Haronobu a sviluppare la tecnica nishiki-e che permetteva l'utilizzo del colore mediante più matrici che venivano successivamente trasferite sulla carta.

Questa tecnica venne via via perfezionata, fino a prevedere anche 15 successivi passaggi prima di arrivare al risultato definitivo, ma verso la metà del XIX secolo delle severe leggi suntuarie tentarono di limitare il procedimento a non più di 7/8 passaggi. Il sistema nishiki-e oltre a permettere l'introduzione del colore, e con effetti suggestivi non consentiti da altri sistemi di riproduzione, permetteva di produrre differenti versioni dello stesso soggetto mediante apposizione di strati di colore differenti. Ecco infatti una suggestiva versione notturna del giardino dei susini di Kameido.

 

Kameido, il giardino dei susini

Serie: Cento vedute di luoghi celebri di Edo

1857, undicesimo mese

363 x 247 mm

 

Seguiamo ora, attraverso la documentazione esposta nella mostra di Roma, le varie fasi della lavorazione di una stampa: il giardino dei susini di Kameido, di cui abbiamo già parlato e che il lettore già ha visto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima di tutto converrà parlare degli strumenti utilizzati dagli ignoti artisti che provvedevano a trasportare sulla carta, seguendo precise indicazioni dell'autore e dell'editore, la matrice.

Il disegno approvato per l'esecuzione della stampa veniva affidato ad un maestro incisore, che lo incollava su una tavola di legno tenero e provvedeva ad asportare la superficie lasciando intatto il contorno, in modo da avere una matrice in positivo del disegno, e poi altrettante matrici per ogni strato di colore che si prevedeva di applicare.

Utilizzava a tale scopo una serie di scalpelli e sgorbie in tutto simili a quelli in uso in Europa.

 

 

 

 

Matrice di base per stampa
Utagawa Hiroshige

245 x 410 mm
HAA 14108

Possiamo osservare, nell'angolo inferiore a sinistra,  i segni dello scapello che hanno evidentemente asportato il timbro dell'editore, in occasione di una ristampa. E' verosimile che sia stata preparata una nuova matrice per apporre i timbri del nuovo editore e della censura.

 

 

 

 

 

Bagliore del tramonto a Seta
Serie: Otto scenari di Omi
1834 circa
da Wikimedia

 

Questa è una stampa relativa alla matrice precedente. Rappresenta il lungo ponte Seta Karahashi sul lago Biwa. lungo il cammino del Tokaido. Naturalmente la matrice imprime sulla carta una immagine speculare rispetto all'originale.

 

 

 

 

 

 

I colori utilizzati erano in polvere, e prevalentemente di origine vegetale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venivano stesi sulla matrice mediante pennelli e premuti sulla carta tenuta a registro con appositi tamponi, in modo che l'inchiostro vi si trasferisse.

 

 


 

 

Ecco sotto a sinistra come si presenta la stampa dopo il primo passaggio, in cui vengono riportate sulla carta solamente le linee del disegno.

A fianco il risultato finale, che avevamo già avuto modo di ammirare.

 

 

Il secondo passaggio: una tonalità ocra

Rempie i fiori di susino e poco altro


 

 

 

Le sfumature di colore si ottengono con passaggi successivi

 

Terminata la prima "serie" di strati di colore, tutte sul rosso, ora è la volta del blu

 

 

Che sono necessarie anche per aggiungere profondità e tridimensionalità alla stampa

 

 

 

 

 


 

 

Vediamo come nasce una importante raccolta, una delle maggiori a livello mondiale. I capolavori esposti nella mostra di Roma provenivano dalla raccolta della Honolulu Academy of Arts, alimentata prevalentemente dal lascito del famoso scrittore anglosassone James Michener, autore tra l'altro di numerosi romanzi ambientati nell'estremo oriente.

 

Hiratsuka Unichi (1895-1997)
Ritratto di James A. Michener

1957
HAA 24493a
(foto di Tim Siegert)

Michener rivela di avere cominciato ad apprezzare relativamente tardi l'arte del maestro, di cui aveva scritto: "l'opera di Hiroshige non ha su di me il fascino che ha per la maggior parte dei collezionisti." Questa sua opinione era giustificata dalla scadente esecuzione di molte stampe sul mercato: Michener affermava che nessun altro maestro aveva avuto una percentuale di riuscita così bassa, essendo veramente rare le stampe che si distaccavano dalle altre per qualità di esecuzione. Probabilmente le opere di Hiroshige furono vittime del loro successo, che spinse gli editori a riutilizzare matrici già oltre il termine della loro vita utile, e per giunta manipolate per sostituire il timbro dell'editore e quello della censura od altri particolari di contorno, come abbiamo già visto.

Eppure era di Hiroshige la prima stampa giapponese in assoluto che Michener ebbe modo di ammirare, ricordando nel suo scritto Japanese Prints (1959): "Credo di avere intuito allora tutto quanto avrei scoperto un giorno sugli ukiyo-e." Fu l' inizio di una passione che dopo quel momento di raffreddamento di cui abbiamo parlato, tornò ad accendersi e durò per tutta la vita.

 

 

 

Si trattava della stampa conosciuta come Mii no bansho, ossia Campana serale al tempio di Mii.

Campana serale a Miidera
Serie: Otto scenari di Omi
1834 circa

 

La collezione di Michener trovò la sua destinazione finale in circostanze talmente banali da sfiorare il paradossale e apparire frutto di una fantasia spropositata: sembrerebbero uscite da uno dei romanzi stessi del collezionista.

Avendo già deciso di lasciarla al Metropolitan Museum of Art di New York, vi si recò per prendere accordi parcheggiando regolarmente la sua macchina negli spazi appositi. Ciò malgrado un poliziotto intervenne e lo multò per sosta vietata, rigettando bruscamente ogni obiezione. Fu tale l'irritazione di Michener che decise seduta stante che New York non avrebbe avuto le sue opere. Il destino volle che qualche tempo dopo, nel corso di una visita alla Academy di Honolulu, un altro poliziotto si dimostrasse al contrario estremamente cortese nell'aiutare Michener nel parcheggio. Come andò a finire, ormai il lettore lo può comprendere immediatamente.

Non si creda però che Michener abbia agito d'impulso, solo sulla base di questi episodi casuali. I suoi legami con le Hawaii, dove è ambientato un suo famoso romanzo e dove visse per alcuni anni, erano profondi, e trovava deplorevole che una cultura che doveva tanto all'Asia ed al Giappone fosse priva di opere d'arte che permettessero di rendere possibile il sogno di Anna Rice Cooke, fondatrice della Academy, che così scriveva nel 1927: "Che i nostri figli di diverse nazionalità e razze, vivendo lontani dai centri dell'Arte, possano farsi un'idea delle rispettive tradizioni culturali e conoscere gli ideali incarnati nell'arte di altri popoli loro vicini."

 

La sede della Honolulu Academy of Arts
foto: www.honoluluacademy.org