La spada del samurai: arma ma soprattutto simbolo di una ricerca interiore

Categoria: Gli articoli di P.B.

Il praticante di aikido dovrà prima o poi, con frequenze e metodi di insegnamento variabili da scuola a scuola, impugnare le armi: bokkentanto e jo. Il bokken (spada di legno) riprende la forma e le modalità d'uso di quella che tutti conoscono come "la spada del samurai" e se volete approfondire le vostre conoscenze potete anche consultare questo mio articolo. Il tanto è ugualmente di legno e rappresenta la minaccia portata da un pugnale, il jo è un bastone diritto lungo normalmente 128 cm adottato relativamente tardi nella panoplia del samurai: si pensa che sia stato introdotto dal maestro Muso Gonnosuke, fondatore dello stile di scherma Muso Shinto ryu, nei primi decenni del XVII secolo. Come è arrivato nel mondo dell'aikido? Ho una mia idea, e se non state buoni prima o poi ve la spiego.

 

In questa immagine ho anche riportato le misure standard (jusen) di un bokken e qualche termine tecnico

Bokken, tanto e jo vengono utilizzati non come armi di difesa contro un nemico, ma come strumenti di verifica del proprio apprendimento: si studiano le linee di evasione dalla minaccia, che ha caratteristiche diverse a seconda che venga rappresentata mediante il bokken, il jo od il tanto, si allenano i tempi di reazione o piuttosto di intervento dovendo il praticante mantenere sempre mentalità positiva e spirito di iniziativa non condizionati da alcun evento esterno, si ricerca accuratezza chirurgica in ogni movimento.

Vorrei ritornare in altra occasione sulle armi dell'aikido, ma per il momento farò solo quattro chiacchiere sull'arma per eccellenza del samurai: la spada che ormai quasi tutti conoscono: la katana. In realtà non è così semplice, la classe dei samurai non solo aveva l'abitudine e da una certa epoca anche l'obbligo di  portare sempre con se due spade, le cui caratteristiche e tipologie si sono evolute nel corso dei secoli, ma doveva conoscere ed avere la capacità di maneggiare con maestria ogni altro strumento atto ad offendere e difendere. Non ultimi il proprio corpo e la propria mente.

Quindi, signori, si va ad incominciare. Ma non aspettatevi niente di trascendentale: ne so qualcosa ma non posso certo definirmi un esperto del nihonto, la spada giapponese. Se volete saperne qualcosa di più, sempre senza scendere troppo sul difficile, leggete anche qui.


Il samurai era un guerriero feudale che dedicava la vita a difendere il suo signore, il suo popolo e la sua terra. Gli veniva assegnata una rendita in modo da liberarlo da ogni altra incombenza per lasciarlo pronto a rispondere in armi ad ogni appello. Essendo un nobile combatteva a cavallo, di conseguenza la sua spada era lunga, come quasi tutte quelle adottate dalle cavallerie di ogni epoca. Dai 75 cm in su, spesso intorno agli 80/90 per arrivare a volte ai 120, e molto curva per avere un maggiore effetto di taglio. Questo tipo di spada si chiamava, e si chiama tuttora, tachi.

Sembra che le prime lame di pregio siano arrivate dal continente e precisamente dalla Corea e dalla Cina, ma intorno all'VIII secolo gli artisti giapponesi iniziarono a sviluppare un nuovo tipo di lama: curva appunto, con una sezione pentagonale (shinogizukuri) che gli assicurava notevole robustezza accompagnata da buona elasticità, caratteristiche a volte contraddittorie ma entrambe necessarie. La prima lama conservata che presenti tutte le caratteristiche del nihonto appartiene al tesoro della famiglia imperiale e si chiama kogarasu maru, la spada del piccolo corvo a causa della forma della punta che ricorda appunto il becco di un corvo.

 

Le linee generali della lama rimasero sostanzialmente la stessa nei secoli successivi, salvo la soppressione del controfilo finale, un allungamento delle dimension, l'aumento del raggio di curvaturai e uno snellimento delle proporzioni.

 

 

Il tachi veniva appeso alla cintura con un sistema di lacci, visibili nella prima foto, passanti attraverso due anelli inseriti sul fodero, in posizione orizzontale e con il filo (parte convessa) in basso. Altre sistemazioni sarebbero state d'impaccio al guerriero, che indossava una pesante armatura costruita con criteri molto diversi da quelli occidentali.

 


 

Le nostre armature aderiscono spesso al corpo e hanno l'obiettivo di arrestare i colpi con robuste piastre di acciaio. Quelle giapponesi sono accompagnate da molti pannelli mobili di cuoio o legno, raramente metallo, laccati e rivestiti con un fitta nastratura, che deviano i colpi e ostacolano il taglio. Per contro gli ingombri dell'armatura sono notevoli e possono impacciare alcuni movimenti. Lo stesso maestro Tada, fonte di molte spiegazioni altrimenti inaccessibili, ha mostrato in passato l'antico modo di tirare shomenuchi, condizionato dalla presenza di un ingombrante elmo che impediva di alzare la spada sopra la testa. Meglio di ogni altra descrizione, propongo la foto di una armatura d'epoca, scattata in uno dei tanti musei di cui sono affezionato cliente.

 

Nell'armatura giapponese classica (o yoroi) l'elmo (kabuto) è costituito da una calotta di piastre metalliche, ha un ampio paranuca che scende spesso a coprire anche le spalle ed alette ai lati per deviare i fendenti, sui cui spesso veniva riportato lo stemma (mon) del guerriero.

 

Per essere riconosciuti nella battaglia i guerrieri di rango portavano anche una vistosa insegna (maedate) sul frontale dell'elmo. La protezione è completato da una maschera (menpo) che cela il volto.

 

Sono evidenti i pannelli mobili a protezione delle spalle (sode) e delle anche. Gli anelli sul pettorale servono ad assicurarvi le briglie in modo da poter condurre il cavallo col proprio corpo lasciando libere le mani per combattere.

 

A quello sul dorso si assicurava uno stendardo (sashimono) con i colori della casata o del comandante in capo. Come i praticanti di quest'arte noterebbero immediatamente, a questo tipo di armatura sono ispirate le protezioni indossate negli allenamenti e nelle competizioni di kendo .


 

Sono passati alcuni secoli... Saremmo arrivati quasi ai giorni nostri per la verità, perché la foto seguente viene dal celebre film Il trono di sangue del maestro Akira Kurosawa (1957), ma la ricostruzione è accurata.
Ci troviamo di fronte ad un guerriero di epoca imprecisata, ma comunque tarda rispetto alla precedente: per parlare nei nostri termini, diciamo intorno al 1670. E' la fase terminale della epoca detta Sengoku, o degli stati combattenti: un secolo di guerre ininterrotte che segnò il passaggio dalla decadente dinastia degli shogun Ashigaka a quella dei Tokugawa.
L'armatura è ormai di tipo quasi occidentale (namban), frutto degli scambi commerciali con olandesi e portoghesi iniziati nel XVI secolo e bruscamente interrotti circa un secolo dopo da un editto dello shogun.
La spada viene ancora appesa alla cintura in posizione orizzontale ma è diventata un handachi, un mezzo-tachi. Si è accorciata la lama e, la montatura - diversa - ha già la caratteristica nastratura (tsukamaki) sul manico.
Alla cintola il guerriero, un messaggero appena sceso da cavallo, porta un tanto: un robusto pugnale con lama tra i 20 ed i 30 cm, del tipo in grado di perforare una armatura (yoroidoshi).

Quanta acqua è passata sotto i ponti dalla foto precedente... tanta acqua che il povero Ihei Misawa, samurai senza padrone (ronin, uomo onda), come dimostra la manccanza della rasatura sul capo,  è costretto a fermarsi in un povero albergo di campagna in attesa che il fiume scenda e i traghettatori lo possano portare dall'altra parte.
Si tratta di un'opera sceneggiata da Akira Kurosawa, che non visse abbastanza a lungo da realizzarla ma che fu portata sullo schermo dopo la sua morte da Takashi Koizumi col titolo di Ame Agaru - Dopo la pioggia - con Akira Terao nel ruolo del protagonista.
Siamo ormai nel XVIII secolo e il samurai, che non è più perennemente in armi, indossa una tenuta molto simile a quella d'allenamento di uno yudansha di aikido, salvo che l'aori, il soprabito con i mon di famiglia, viene in aikido riservato ai grandi maestri e indosato solo in occasioni solenni e una minore lunghezza della hakama per evitare di infangarla. La spada è ormai diventata la katana che tutti conosciamo (o diciamo di conoscere...). Viene infilata alla cintola e non più appesa, e con il filo (parte convessa) sul lato superiore.
La spada lunga (daito) viene accompagnata non più dal pugnale ma da una spada corta (shoto), con lama tra i 30 ed i 60 cm, assieme alla quale forma una coppia: il daisho. La montatura non ha più i rinforzi in metallo, salvo che nella variante handachi: Il fodero è in legno laccato, di solito in colore nero che asseconda gli austeri gusti del samurai, con semplici finiture in corno. Anche la guardia (tsuba) che può da sola essere una autentica opera d'arte ed arrivare a prezzi da capogiro, è bene che sia bella ma semplice, essenziale.
La spada corta viene anche detta wakizashi (arma da lato) e non viene mai abbandonata dal samurai, che lascia invece il daito nell'apposita mensola (katanakake) quando si trova nella sua dimora o nel dojo, o la dà in custodia quando si trova ospite.
Sempre da Ame Agaru, ma in bianco e nero perché viene ricostruita in flashback una avventura giovanile del protagonista, ecco il maestro Tsuji Gettan, interpretato da Tatsuya Nakadai, all' interno del suo dojo.
Dal lato del kamiza si trova un katanakake, con la sua spada debitamente parcheggiata secondo l'etichetta più corrente (ci sono diverse scuole di pensiero quindi non stupitevi se la vedrete sistemata al contrario, ma per ora sorvoliamo). Infilato alla cintura, l'inseparabile wakizashi.

Che fine ha fatto la coppia dei vecchi tempi? Il tachi ed il tanto? Vengono ancora utilizzati occasionalmente.

Il tanto per ragioni pratiche visto che si può portare e nascondere con facilità, soprattutto nella variante kwaiken con lama inferiore ai 20cm adottata spesso anche dalle donne: in realtà anche l'attrezzo in legno utilizzato in aikido sarebbe più un kwaiken che un tanto.

ll tachi soprattutto come indipensabile accessorio dell'alta tenuta con cui si partecipa alle cerimonie.

Ancora da Ame Agaru, ecco l'iroso signore Shigeaki, intento a conversare con lo scontroso ronin con cui minaccia di stringere un'amicizia tanto irrequieta quanto profonda. Alle sue spalle l'attendente lo accompagna metro per metro, portando la spada in posizione verticale; per la verità qui si vede una katana, ma si tratta di una piccola imperfezione del constumista; solo il tachi, viene tenuto in posizione verticale, anche a riposo appoggiandolo sul tachikake. Da notare anche, segno di un certo nostalgico stile, che Shigeaki alla cintura porta il tanto e non il wakizashi.


Ma per dirla tutta, diversi tachi sopravvivono ancora ai giorni nostri sotto mentite spoglie: accorciati tagliandoli dalla parte del codolo (la lama viene allora definita suriage) e dotati di una nuova montatura, si sono adeguati ai tempi e continuano a prestare servizio. Solo alcuni particolari che non sfuggono all'esperto, ed eventualmente la firma - che se è rimasta dopo il taglio si trova sul lato opposto - permettono di identificare un tachi convertito in katana.

Rimarrebbero ancora tante cose da dire sulla spada giapponese e forse proverò a dirle: ma nulla può eguagliare la forza di un'immagine, che dovrà rappresentarla dura, pura e nuda. Eccola: